Si ripete nel giorno dell’Immacolata Concezione presso la Misericordia di Arezzo un rito antichissimo e significativo dei valori più identitari della Confraternita: la Vestizione della Cappa e della Buffa. Venite a scoprire di che si tratta…insieme ai tesori nella Chiesa della SS. Trinità. Come “l’ultimo Vasari”!
L’evento è previsto per l’8 dicembre p.v., giovedì, giorno dell’Immacolata Concezione, alle ore 17:00, presso la Chiesa della Santissima Trinità, situata proprio accanto alla sede storica della Misericordia di Arezzo, in via Garibaldi – precedentemente “via Sacra” – ad Arezzo e perciò detta anche “Chiesa della Misericordia”.
La cerimonia aveva – e l’ha mantenuta simbolicamente nel tempo – la valenza di un rito iniziatico, per sancire l’acquisizione dello status di “Confratello” e la connessa abilitazione ai servizi d’aiuto al prossimo; le sue radici affondano nella notte dei tempi, dato che l’anno di fondazione della Misericordia di Arezzo – una delle confraternite più antiche in assoluto – data 1315.
Consisteva – e così ne è stato recuperato il procedimento a oggi – nel particolare rituale di vestizione di una “Cappa”, sorta di tunica completa nera e lunga, fissata in vita da un cordone con rosario e crocefisso; sovrastata dalla cosiddetta “Buffa”, uno speciale cappuccio con coprispalle e apice a punta, sempre nero, dove sono ricavate le sole aperture per gli occhi.
È assai probabile che inizialmente questo particolare “abito” fosse stato ideato per uno scopo protettivo contro i contagi, data la frequenza di ondate epidemiche che affliggevano pesantemente le popolazioni in epoche remote: e del ruolo della Misericordia in tal senso (anche della nostra), che andava già allora dal trasporto degli ammalati e degli infermi alle opere caritatevoli di composizione delle salme, quindi sempre in stretto contatto e in aiuto ai più bisognosi, abbiamo già illustrato diffusamente in questo articolo che intitolammo “Epidemie e Confratelli”: https://misericordiaarezzo.it/flat/page.asp?az=vwp&IdPag=597&IdCat=26
Ma in realtà, e al di là di questo ipotetico scopo “igienico”, un simile equipaggiamento assolveva egregiamente a ben altra esigenza: la garanzia dell’anonimato. Non si doveva sapere chi fosse il benefattore, colui che – spesso in sprezzo del rischio per la propria stessa incolumità – portava così generosamente il suo aiuto agli altri. Con un tale spirito di volontariato da non desiderare nulla in cambio, nemmeno un “grazie”. Il suo anonimato sollevava perciò il bisognoso da qualsiasi vincolo di riconoscenza nei confronti di chi l’aveva aiutato, soccorso ecc. Egli cioè, pur nell’estremo bisogno, non doveva sentirsi obbligato a ringraziare. Era questa un’esigenza talmente sentita che il vestiario del Confratello sopra descritto si completava anche di guanti per mascherare le mani e di speciali sovrascarpe, o ghette, per occultare alla vista le calzature: infatti, sia la conformazione delle mani sia il tipo di calzature indossate potevano indurre facilmente a riconoscere il rango sociale di appartenenza del soccorritore e quindi diventarne un possibile elemento di identificazione. Mentre la solidarietà non doveva avere volto alcuno.
Oggi che viviamo in un mondo spasmodicamente dedito all’apparire, al mostrarsi, tutto ciò assume il significato di un richiamo suggestivo e profondissimo: e se ne possono scoprire gli elementi che ancora oggi, nella Misericordia, sopravvivono al tempo. Sono moltissimi i donatori che richiedono esplicitamente di restare anonimi, così come i volontari quotidianamente protagonisti di episodi di aiuto agli altri. Tanto da accontentarsi semplicemente di quel che fanno, del bene che portano, senza aspettarsi nemmeno un ringraziamento, appunto.
E in Misericordia si respira ancora a tutti i livelli la netta distinzione tra “apparire” ed “essere”; così come tra “immagine” e “testimonianza”. Perché – come ricordiamo spesso – “comunicare” non è fare banale esposizione, ostentare alcunché, bensì trasmettere valori.
La cerimonia, su cui preferiamo non svelarvi altro quale massimo invito a venire a condividere con noi di persona la vostra curiosità, sarà accompagnata anche dall’edotta presentazione ad opera del Governatore Prof. Pier Luigi Rossi circa alcuni autentici “tesori” artistici presenti all’interno dei locali della Misericordia e in particolare della “sua” attigua Chiesa della SS. Trinità…con impronte d’arte ancora parzialmente misteriose lasciate dall’immenso Giorgio Vasari, tra cui il gonfalone da lui composto nel 1572 proprio per la Misericordia e soprattutto un dipinto davvero unico, l’ultima sua opera artistica!
Giorgio Vasari la dipinse infatti negli ultimi mesi del 1573, prima della sua morte avvenuta a 63 anni nel 1574. In questa sua ultima pagina artistica Giorgio Vasari ha dipinto il simbolo e il valore della spiritualità. Una pagina capace di stimolare una profonda meditazione, necessaria anche in questo difficile tempo di precarietà emotiva, culturale.
Ultima revisione 5/12/2022
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Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui.
(Lc 10,34)