Alcuni ricordi che dovrebbero essere stati tra i più vivi a essersi impadroniti di noi durante la chiusura totale (lock-down) sembrano già svaniti nel nulla. Così è stato per il “distanziamento sociale” interpersonale. Ma perché accade e cosa si può fare?
Se ben vi rammentate, anticipammo questo fenomeno ancora prima delle riaperture di maggio, come potete rileggere in questo nostro articolo dello scorso 24 aprile: https://www.misericordiaarezzo.it/flat/page.asp?az=vwp&IdPag=508&IdCat=26
Ebbene, da qualche giorno a questa parte, complice – purtroppo – la risalita dei contagi fino a livelli ormai rischiosi al punto da aver già fatto risalire il numero dei ricoverati in ospedale, nonché l’avvicinarsi della fatidica data per i rientri delle scuole, riscopriamo la fondamentale importanza del distanziamento. “Questo sconosciuto”, verrebbe da dire, dato che pare quasi di doverne parlare per la prima volta, come se non fosse mai capitato prima.
Ma cos’è cambiato allora da quando si sentiva scandire ovunque la triade raccomandata dall’OMS: “mascherine, distanziamento, igiene/disinfezione delle mani”?
L’ultima volta che i tre termini concettuali sono stati declamati in pubblico al livello più solenne in modo che diventassero un vero e proprio mantra è stato nel discorso (di appena il 3 giugno) pronunciato dal nostro premier a completamento riaperture in atto, quando dovette ammettere – non senza una buona dose di empatia che lo rese almeno accettabile sul piano umano – che la sola strategia su cui avremmo tutti potuto e dovuto contare sarebbe consistita in “mascherine + distanziamento + igiene/disinfezione delle mani” (notare i “+” della somma).
Ed ecco che tre mesi dopo, come si può notare in giro, in qualunque gruppo o gruppetto di persone – e non solo nella tanto additata “movida” giovanile –, dentro ogni auto, in qualsiasi mezzo o locale pubblico ecc, quelle persone stanno troppo, maledettamente troppo vicine!
E qual è la motivazione, o meglio la “scusa”? La mascherina! Già, proprio l’oggetto anti-Covid più usato, tanto da diventare l’emblema della somma delle cautele anti-contagio. Quel “DPI-Dispositivo di protezione individuale” che prima non si trovava e oggi è ovunque, al punto da essere diventato un complemento d’abbigliamento con una sua tendenza modaiola nei più fantasiosi disegni – quella basica (alias “chirurgica”) è considerata, come dire, “da sfigati” – ha assunto il ruolo di un alibi per giustificare a se stessi di poter stare più vicini.
“Tanto ho la mascherina”, si sente dire, da persone che hanno ripreso ad abbracciarsi, a parlarsi nell’orecchio, a mangiare o bere uno accanto all’altro, insomma a stare a contatto proprio come non si dovrebbe fare mai, a prescindere dalla mascherina. Fino al paradosso di quelli che la mascherina addirittura se la abbassano proprio all’atto di avvicinarsi per parlarsi meglio!...
In pratica, come è sempre stato prescritto, nessuno dei tre pilastri dell’unica strategia che abbiamo dovrebbe mai ridursi, nemmeno incrementando gli altri due. Perché non è che si compensino a vicenda: sono tutti e tre ugualmente indispensabili. Basta che ne manchi o se ne riduca uno e il livello di bio-sicurezza complessivo crolla drasticamente.
Perciò: hai indossato la mascherina perché stai entrando in un bar e le mani te le disinfetti con l’igienizzante all’ingresso, ma non fai caso che c’è già troppa gente dentro in quel momento e subito ti ritrovi a sfiorarti con altri perché lo spazio fisicamente non basta per tutti? Hai commesso un errore!
Incroci sul marciapiede un gruppo di persone che lo occupano tutto ma tu, anziché scansarti un attimo per farli passare almeno al minimo della distanza, ti tiri su la mascherina, passi in mezzo a loro e ti senti al sicuro come il comandante dell’Enterprise in StarTrek quando ha appena ordinato di alzare gli scudi? Sbagliato!
Parli con qualcuno e, essendo entrambe correttamente mascherinati e tu reduce da esserti appena lavato le mani per la ventesima volta nelle ultime tre ore, consideri solo che in fondo non lo stai nemmeno sfiorando e siete già abbastanza protetti dalle rispettive mascherine, così “potrete pur avvicinarvi qualche minuto per finire il discorso”, che altrimenti da un metro neanche vi capite? Altro sbaglio!
Hai la mascherina correttamente su e aspetti ad abbassarla che ti abbiano servito il caffè in quel bar per berlo, ma in quel momento non fai caso di esserti proteso così tanto verso il bancone da avere le mani appoggiate sul suo ripiano e i piedi ben oltre quella striscia di demarcazione sul pavimento che avrebbe dovuto indicarti di non avvicinarti di più? Sei di nuovo in errore!
Paradossalmente, vale di più il reciproco di questo discorso: così – non a caso – di giorno (almeno fino alle 18:00, prescrive adesso la normativa) se si è all’aperto e ci si trova soli, quindi se la distanza da chiunque altro è cospicua, si può non indossare la mascherina; e ovviamente continuerebbe a essere così anche dopo, la norma introduce l’obbligo di mascherina “a prescindere” oltre le 18:00 (quindi anche all’aperto da soli) unicamente perché è più facile farlo rispettare a chiunque nella fascia oraria in cui gli assembramenti diventano più probabili.
Tutto ciò per dire che, malgrado non avessimo avuto alcun allenamento a questo – era troppo diverso e ben più facile osservare il distanziamento quando ognuno era come recluso a casa propria – dovremmo sviluppare la capacità di mantenerci circondati da una bolla immaginaria.
Una capsula trasparente che, anche se non si vede, ci mantiene tutto e tutti, sempre e comunque, ad almeno 1 metro di distanza. E sviluppare quella sensibilità istintiva di allarmarci ogniqualvolta qualcosa o qualcuno stiano entrando “all’interno” di quello spazio immaginario: perché quando succederà, in quel preciso momento vorrà dire che avremo sbagliato qualcosa nel mantenere o nello stimare il minimo distanziamento indispensabile alla nostra bio-sicurezza.
La nostra “bolla dell’invulnerabilità” si sarà rotta, come una bolla di sapone. Mascherina o no.
(In foto d’apertura abbiamo rifatto coi nostri Volontari il gioco dei nastri rossi e bianchi al chiuso di una stanza: i rossi per le distanze insufficienti e dunque sbagliate, i bianchi per quelle superiori al metro e quindi corrette. Come si può constatare, è tra l’altro sempre difficile stimare a colpo d’occhio – specie da una foto – se il distanziamento tra le persone anche in un locale al coperto sia quello giusto. Il monito che se ne ricava è che bisogna farci molto più caso di quanto succeda di solito! Altrimenti la nostra bolla immaginaria non resterà affatto invulnerabile.)
Ultima revisione 5/9/2020
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Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui.
(Lc 10,34)