I risultati degli ultimi incontri - di cui un paio con tutti gli appartenenti alla Misericordia di Arezzo - per lo scambio delle informazioni derivanti dai vertici organizzativi ASL e 118. Un'occasione anche per fare il punto contro la disinformazione generale al centro dell'inutile psicosi cui assistiamo.
“Infodemia”, è stata “l’altra definizione” data all’epidemia di COVID19 in corso (la malattia dovuta al SARSnCov2, più noto come Coronavirus…), a sottolineare il fatto che passerà alla storia come il peggior esercizio di disinformazione da pessima comunicazione di massa in periodi e da contesti di crisi che si sia mai visto.
Un esempio per tutti? L’acceso dibattito esploso intorno alla reale “pericolosità” di COVID-19, soprattutto se posta a confronto con quella della normale influenza di stagione.
Sostanzialmente si sono delineate due fazioni: quella degli allarmisti, da un lato; e di coloro che vorrebbero minimizzare tutto, dall’altro. Due atteggiamenti estremistici che conducono allo stesso risultato: aumentare la suscettibilità della gente verso tutto ciò che circola su questo tema, il che significa aumentare l’audience dei media, che perseguono i due estremi proprio per questo scopo.
Noncuranti d’innescare così il classico circolo vizioso, che alimenta se stesso, fino al cortocircuito mediatico tra la realtà vera e quella virtuale.
Infatti larga parte dell’informazione (e quindi dei politici e di certi scienziati) s’è tuffata a pesce in questo sciocco – e per certi versi anche bieco – metodo comunicativo, che non ha fatto che alimentare la confusione.
E, con essa, la psicosi generalizzata: perché la gente comune (noi tutti) può reagire proprio così, con la paura, quando gli resta la percezione di qualcosa che “non torna”, che non conosce o non capisce abbastanza; magari non sa bene cosa sia, ma “sente” che c’è dell’ignoto, non si convince (più) delle spiegazioni che ascolta e, di conseguenza, non si tranquillizza affatto. Anzi!
Dite la verità: quando avete sentito esclamare che “non bisognava preoccuparsi affatto perché sarebbe stato più o meno come per l’influenza!”, non vi è venuto da chiedervi cosa si stessero applicando a fare allora tutte le misure senza precedenti che si son viste in tutto il mondo, con operatori equipaggiati come palombari, quasi fossero cavalieri armati in procinto d’incontrare draghi malvagi? Non vi siete domandati anche voi “ma se è così innocuo perché tutto questo spiegamento ovunque?”
E cosa avete provato quando viceversa l’esperto di turno, sparato in primo piano tv, vi snocciolava addosso l’elenco dei morti come fossero palline del flipper insieme alla previsione che ce ne sarebbero stati di sicuro molti altri, per poi affrettarsi ad aggiungere candidamente “…ma mi raccomando, niente panico eh!”
Ora, tornando all’esempio con cui abbiamo aperto, si è sentito da quest’ultimi – gli allarmisti – sbandierare ogni nuovo caso e soprattutto ogni nuovo decesso come indice del fatto che era meglio preoccuparsi per ciò che stava accadendo, temere il peggio, magari secondo il modello del classico “meglio aver paura che buscarne”! Mentre i primi, i minimizzanti a tutti i costi, hanno cercato di esaltare la tesi contrapposta, e cioè che Covid19 fosse così poco pericolosa da poterla considerare paragonabile alla comune influenza di stagione o poco più.
“Due clamorose sciocchezze”, come solo da alcuni esperti sono state definite; esperti tuttavia rimasti quasi inascoltati. Eppure sarebbe bastato consultare bene i dati sempre riportati e puntualmente aggiornati nelle fonti più attendibili, istituzionali (tipo il sito dell’OMS, del Ministero della Salute ecc) e riferirli fedelmente, quand'era il momento, raccontandoli per quello che erano, senza né enfatizzare né inventarsi nulla; magari la gente – che proprio tutta scema non è – si sarebbe lasciata spiegare, convincendosene, che comunque ogni dato numerico va contestualizzato per capirne il reale significato. Si sarebbe così potuto chiarire ai più che i due fenomeni patologici, Covid19 e la comune influenza di stagione, non sono neanche paragonabili, non ha senso metterli a confronto e non c’è bisogno di farlo: del primo infatti non sappiamo ancora abbastanza, se non che è nuovo, prima nell’uomo neanche c’era (e non si sa esattamente da quanto c’è), manca casistica sul suo comportamento nel tempo, a cominciare dalle sue proprietà mutanti; ma soprattutto non c’è alcuna cura, nessun vaccino e serviranno molti mesi per averne. Naturalmente, per l’influenza è tutto il contrario, come ben sappiamo da ogni invernata precedente.
Ma se poi ci si volesse comunque divertire a fare questo esercizio insensato del confronto a tutti i costi, si scoprirebbe che l’altra sciocchezza – e cioè che la “pericolosità” delle due malattie sia simile o solo leggermente superiore nella Covid19 – è pesantemente confutata dai dati: l’indice di letalità nella Covid19 è collocabile tra il 2 e il 3%, ossia su 100 ammalati 2 o 3 muoiono; mentre per l’influenza di stagione ne muore all’incirca 1 su 1.000 (mille). Vale a dire che la Covid19 è – al momento – fino a circa 25 volte più “pericolosa” dell’influenza (a livello mondiale, da noi comunque non sotto le 10 volte di più). Che non sono esattamente “poche” volte! Senza contare che una quota compresa all’incirca tra il 15 e il 20% dei malati di Covid19 sviluppa la sua forma grave, per la quale è richiesto ricovero ospedaliero con trattamento in terapia intensiva.
L’equivoco è nato in buona parte dal fatto che per settimane s’è sentito ripetere come un mantra soprattutto in tv il confronto diretto del solo numero totale dei morti, cioè senza metterlo in rapporto alla diffusione delle due infezioni: infatti ci si fermava alla conta di mastro Beccaio, tipo “abbiamo (solo o già, secondo i contrapposti punti di vista) 5 – poi 6, poi 7, 9, 14 ecc – decessi per Covid19, mentre quelli per la normale influenza sono già centinaia o migliaia”! Con un’assurda sovrapposizione dei termini “letalità” e “mortalità”, che invece sono completamente diversi tra loro nel significato: per letalità in epidemiologia si intende il numero di morti per ammalati, mentre per mortalità il numero di morti di quella determinata malattia ma suddiviso per i componenti di una popolazione. Vuol dire che una virosi come la Rabbia, di letalità al 100% – ucciderebbe cioè tutti gli ammalati – può al contempo essere di mortalità quasi nulla, perché è talmente rara da considerarsi quasi assente nella popolazione di riferimento.
Dunque nelle cronache dal coronavirus si è “dimenticato” – per svista involontaria ma talvolta a sommo studio, comunque con troppa faciloneria – che l’influenza di stagione aveva già avuto la sua massima diffusione nel periodo di riferimento mentre la Covid19 era (ed è tutt’ora) ai primi casi conclamati. Insomma siamo di fronte a una malattia, Covid19, di letalità ben più alta rispetto all’influenza di stagione ma di mortalità sovrapponibile o (per il momento) addirittura più bassa, perché è molto più bassa la diffusione.
Cosa succederebbe però – augurandoci che non succeda! – se raggiungesse anche solo metà del livello di diffusione di quella stagionale e/o se lo facesse anche solo altrettanto rapidamente? Facile far due conti e constatare come le cifre di ammalati gravi e di morti, in base alle suddette letalità, diventerebbero a dir poco impressionanti per la COVID19: praticamente disastrose.
Ora dite un po’: vi sentireste ancora, dopo quanto chiarito sopra, di trovare sensato o tranquillizzante un confronto riduttivo del divario di “pericolosità” tra le due sindromi?
Inoltre quanto detto è più che abbastanza per motivare il perché si debba assolutamente ostacolare o almeno rallentare più possibile la circolazione della COVID19! (Considerando tra l’altro che le sue “abilità” intrinseche di diffondersi sembrano ben superiori a quelle dell’influenza stagionale…).
Dunque l’aspetto che spiega l’eccezionale mobilitazione e le misure straordinarie che le autorità stanno disponendo ormai a ogni livello, e che motiva ogni precauzione assunta, consiste nel fatto che ora non si pretende più di annullare la circolazione del virus – ciò risulterebbe ormai vano o troppo difficile da ottenere – quanto piuttosto di rallentarla, semplicemente per diluire più possibile nel tempo l’afflusso degli eventuali malati più gravi alle strutture sanitarie del territorio (ospedali), evitando così che vadano in tilt e permettendo loro di continuare a soddisfare i bisogni di cura della salute pubblica per cui sono state create.
Si pensi che già soltanto l’impegno di volontariato della Misericordia di Arezzo nei movimenti extra-ospedalieri – cioè dal territorio al pre-triage allestito intorno al San Donato e all’ospedale stesso – è stimabile nel 35% circa di surplus rispetto alle consuete attività! (Impegno in più al quale va naturalmente aggiunto quello analogo delle altre associazioni di volontariato…).
Ebbene, tutti questi aspetti – e moltissimi altri inerenti Covid19 – sono quelli messi in luce efficacemente nel corso di contatti che il personale ASL e 118 cittadino ha tenuto con la Misericordia di Arezzo, sia tramite dirette streaming sia con riunioni, da cui sono nati conseguenti nostri incontri dedicati a tutti gli appartenenti (soci, collaboratori, volontari, dipendenti ecc) della nostra associazione.
Dove tra l’altro le informazioni sono state illustrate con un tutorial guardabile anche a questo link della Federazione Misericordie della Toscana: https://www.facebook.com/FederazioneMisericordiedellaToscana/videos/1091478547852801/?sfnsn=scwspwa&extid=38m75Qge9JKpBzTM&d=w&vh=e circa tutte le modalità più aggiornate per equipaggiarsi e svestirsi dei vari DPI (Dispositivi di protezione individuale) previsti per il personale coinvolto nei servizi d’emergenza e sociali in cui ce n’è bisogno.
Per quanto ci risulta, possiamo testimoniare che questi momenti d’incontro abbiano complessivamente aggiunto ragionevolezza e consapevolezze nuove in tutti i partecipanti, senza né aumentarne inutilmente le preoccupazioni né banalizzare insensatamente i livelli di rischio.
Allo stesso modo l’intera faccenda avrebbe potuto riassumersi sui media – scongiurando sul nascere la “infodemia” – semplicemente con qualcosa del tipo: “COVID19 è una malattia virale seria, non paragonabile all’influenza di stagione, rispetto alla quale è però (al momento) meno diffusa. Per mantenere bassa la sua diffusione è necessario e sufficiente adeguare i nostri comportamenti all’osservanza delle disposizioni emesse dalle autorità in materia”.
Migliorare la percezione e la stima delle reali dimensioni del rischio è proprio l’obiettivo che l’informazione dei media dice sempre di volersi porre, raggiungendo però troppo spesso il suo esatto contrario (salvo eccezioni), forse perché – al netto di casi voluti – richiede una preparazione più specifica (oggi ancora carente) nel comunicare da aree o scenari d’emergenza o di crisi.
Ebbene, grazie ai protagonisti e ai risultati dei momenti d’incontro sopradetti, invece, si può dire che qui si sia centrato l’obiettivo auspicato.
Così come speriamo d’aver fatto con la nostra redazione nelle riflessioni di questo report.
(Tra le immagini, anche le foto dei montaggi tende per il pre-triage esterno agli ospedali della provincia; inoltre l’anticipazione di un altro incontro con le fonti sanitarie pubbliche, curato da CISOM – soccorritori Ordine di Malta sezione di Arezzo, il prossimo 11 marzo, aperto al pubblico).
Romano Barluzzi
(FONTI – Oltre a quelle ufficiali di OMS, Ministero della Salute, Regione e ASL, e premesso che è meglio lasciate perdere per qualche giorno le TV, cercate i riferimenti web di alcuni ottimi divulgatori scientifici esperti di biologia molecolare, virologia, epidemiologia, come per esempio Sergio Pistoi, Pier Luigi Lopalco, Roberta Villa, Barbara Gallavotti, Massimo Polidoro: vi divertirete imparando molto di più!)
Ultima revisione 1/3/2020
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Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui.
(Lc 10,34)