Siamo andati a vivere di persona uno degli effetti sociali del virus. Ecco la nostra esperienza all'aeroporto fiorentino di Peretola. In qualcosa che non era mai accaduto prima.
“Mai era accaduto prima nella storia dell’umanità” che uno stato di allarme internazionale per rischio infettivo imponesse misure così restrittive nel tentativo di contenere il contagio, cioè la circolazione del virus. Uno scenario finora proprio solo di film di fantascienza. Con misure che comprendono (anche) i controlli della temperatura corporea a tappeto sui passeggeri e il personale sbarcati dai voli aerei in arrivo. Che è quanto andiamo a fare pure noi della Misericordia di Arezzo, con Andrea Bonini e Serafino Mammoli, volontari.
Mentre ci avviciniamo al nostro turno di servizio come operatori tecnico-sanitari assegnati per input della Confederazione Nazionale delle Misericordie – Dipartimento Protezione Civile all’aeroporto Amerigo Vespucci di Peretola (Firenze) è questo il pensiero che ci pervade insistentemente, come un mantra: “Non era mai accaduto prima”! E proprio noi stiamo per parteciparvi. Per assistere quindi a qualcosa di unico. Anche perché ci si augura che finisca presto e che soprattutto non accada mai più, pur se l’esperienza mostra evidentemente come tutto possa invece sempre accadere.
Abbiamo ricevuto tutte le indicazioni preliminari da seguire: parcheggio auto di servizio, pass d’accesso… istruzioni preventive da protocollo regionale del Ministero della Salute, sotto controllo delle autorità aeroportuali, una “vestizione” che, a dire il vero, lì per lì, appare piuttosto minimale a confronto con le aspettative dell’immaginario collettivo: ma niente paura, l’equipaggiamento è giudicato sufficiente a soddisfare gli standard minimi, consistenti in dispositivi di protezione individuale (DPI), cioè un’apposita mascherina, guanti in lattice e una spolverina chiara da mettere sopra. Tutto monouso: questo è il nostro “scudo”, oltre alla buona igiene delle mani, s’intende.
La nostra unica “arma” invece è un termometro a infrarossi – ricorda vagamente una pistola – che serve per puntare una persona alla fronte senza dovercisi accostare troppo e ne rileva in un attimo la temperatura corporea del momento.
Di cosa si va a caccia? Di alterazioni febbrili superiori ai 37.5°C, le sole che vanno considerate come “sospette” e segnalate perché necessitano di ulteriori e più approfonditi controlli.
Nel nostro turno siamo in ottima compagnia con appartenenti alle Misericordie di Siena e di Sesto Fiorentino, nonché con agenti della Guardia di Finanza e operatori del coordinamento affidato al CISOM – Corpo Italiano del Soccorso dell’Ordine di Malta: diventerà un elemento importante, la buona compagnia, non foss’altro che per fare nuove conoscenze e per distrarre il tempo nelle pause morte (oggi molti voli sono stati cancellati per il vento troppo forte e i viaggiatori sono pochi), risolvendo anche una certa inapparente tensione dovuta alla nostra “prima volta” in questo ruolo.
Arrivano i passeggeri da controllare e, nonostante siano transitati già da avvisi disseminati ovunque nel percorso obbligato in cui sono stati incanalati, notiamo la loro sorpresa di fronte al controllo, evidentemente inatteso.
Ma la sorpresa prende noi, quando ci accorgiamo che la loro reazione non è mai neppure un po’ contrariata, anzi: ci colpisce aver origliato involontariamente una signora mentre rassicura la figlioletta dicendole “Hai visto che bello? Ci controllano, si prendono cura di noi, si preoccupano che stiamo bene!…” E si capisce da come lo dice che non è solo per tranquillizzare la piccola: ne è davvero convinta!
Altri ci chiedono “quanta febbre ho?” ma le norme dicono che non possiamo dichiararlo, specie per non instaurare colloqui, anche se almeno accogliere con un sorriso è sempre l’atto vincente verso tutti – un linguaggio non verbale che ignora i confini e si legge negli occhi – e altrettanto spesso si viene come minimo ricambiati allo stesso modo, con un evidente immediato discioglimento di quel primo attimo d’imbarazzo.
Tutto questo ci offre istantaneamente una conferma a qualcosa che già s’era affacciato in noi, anche se in forma di sensazione inizialmente vaga, che così ora diventa piena consapevolezza: la soddisfazione di star partecipando a qualcosa di molto importante e utile per l’intera comunità, all’interno di un sistema complesso ma evoluto e altrettanto organizzato, che ha saputo adeguarsi a fronteggiare un nemico pubblico tanto invisibile quanto subdolo. Un sistema degno di fiducia.
E allora ci si sente doppiamente fortunati, anche per questa opportunità di aver potuto mettere a disposizione di tutti il nostro tempo e le nostre conoscenze pure in questo campo senza precedenti, “nel nostro piccolo” come si suol dire, ma che poi appunto tanto piccolo non lo è affatto.
Ad oggi non sappiamo come evolverà questa faccenda: dopotutto finora le nuove notizie si sono rincorse a ritmo quasi giornaliero e forse è presto comunque per previsioni, dati i molti aspetti ancora ignoti circa questo Coronavirus. Ma, al netto delle altrettante fake-news che circolano all’impazzata sul web, abbiamo pensato di pubblicare subito questa nostra esperienza, perché nulla è meglio di descrivere fedelmente come avvengono i fatti, così che ognuno possa farsi la sua idea su qualcosa di concreto.
L’impressione è che ci si debba abituare prima possibile all’idea di convivere per un lungo periodo con questa situazione e con i molti fenomeni sociali che si porta – e si porterà – appresso.
Ciò richiede anzitutto la serenità d’un approccio prudente che, attraverso la ragionevolezza e i dati certi, non lasci spazio a inutili atteggiamenti insensati.
Descrivere e definire le cose con il loro nome, senza esagerazioni né sottostime, può rivelarsi l’aiuto più prezioso.
Ultima revisione 13/2/2020
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Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui.
(Lc 10,34)