Ci siamo chiesti come fosse la Misericordia di Arezzo nella notte tra il 20 e il 21 luglio del 1969, durante lo sbarco del primo uomo sulla Luna. Perché il cinquantenario di quell'evento che cambiò il mondo è proprio stasera.
Nei giorni in cui si rifà un gran parlare del primo sbarco dell’uomo sul nostro satellite naturale ci siamo scoperti a chiederci come fosse fatta e come funzionasse la nostra Associazione in quel periodo di cinquanta anni fa.
Erano tempi in cui si viveva una singolare dicotomia tra la normalità di una vita civile pur in periodo di rilancio economico e l’ebrezza di un evento così straordinario, tanto prodigioso da non sembrare possibile che riuscisse.
Simbolo di tutto fu la televisione, che ancora non era in tutte le case né tantomeno nei locali pubblici. Inoltre quelli privati erano apparecchi ancora di schermo piuttosto ridotto, per quanto voluminosi nell’insieme. Dopotutto, la prima trasmissione Rai era divenuta realtà soltanto nel 1954 e allora le novità così radicali non si espandevano con la rapidità che conosciamo oggi, ci volevano anni. Eppure quella fatidica notte la più celebre delle dirette televisive di tutti i tempi mise insieme qualcosa come 20 milioni di telespettatori soltanto nel nostro Paese!
Ebbene, dalle testimonianze dei vari “io c’ero” di allora salta fuori che presso la Misericordia di Arezzo una bella televisione adatta a stare al pubblico faceva già buona mostra di sé.
«Era un modello tecnicamente al top – descrive l’odierno Governatore Antonio Bilotta, all’epoca già volontario soccorritore – e si trovava nel salone principale, allora a piano terra, subito dopo l’ingresso, piazzata in modo da regalare buona visione e sonorità da qualsiasi punto.» Come tutte, trasmetteva solo i due canali Rai disponibili – il Nazionale e il 2 – ed esclusivamente in bianco e nero. «Ma qui – conclude il Governatore – molta gente poteva raccogliersi insieme, quando ne aveva voglia e piacere. Cosa che capitava spesso. Compresa quella sera, in cui il salone si riempì all’inverosimile…»
Anche perché per reperire un altro televisore simile in locali pubblici toccava allontanarsi fino a raggiungere un bar storico a qualche centinaio di metri da qui, che aveva un apparecchio analogo.
Intanto la Misericordia aveva già da tempo una vita tutta sua, legata per tradizionale vocazione al mondo dei servizi sociali e dei soccorsi, dedicata a una solidarietà a tutto campo come adesso, anche se le “divise tecniche” di oggi erano costituite ancora da comunissime gabbanelle bianche e tutta la tecnologia delle attrezzature e degli apparati sanitari era assai più primitiva dell’attuale, sebbene a suo modo completa e all’avanguardia.
Le turnazioni d’altronde c’erano tutte e venivano coperte anche le notti. Festivi compresi. «Perché le chiamate d’aiuto arrivavano, eccome! – ricorda Roberto “Bobbe” Casini – e potevano capitarne a qualsiasi orario, perciò già allora si cercava di assicurare sempre una risposta adeguata. Anche se di 118 nemmeno si ipotizzava l’avvento e l’utente per trovarci faceva il numero 0575.20976 e in seguito lo 0575.24243…quest’ultimo oggi riservato all’Impresa Funebre».
Così gli autisti di notturno assolvevano la doppia funzione anche di “custodi” dei locali della sede. I cui interni apparivano molto diversi da ora: «avevamo allestito addirittura una sorta di bar interno, piccolo ma efficiente – svela Giovanni Sorini –, si trovava al posto di uno degli uffici di segreteria di oggi, dopo il salone d’accesso dove c’era il famoso televisore».
E succedeva che diversi operatori si incrociassero a condividere le ore fra il tramonto e l’alba, dipendenti, volontari e collaboratori tutti insieme, ragion per cui quella “tivvù” dovette rappresentare qualcosa di piuttosto importante per la vita associativa dell’Ente.
«Capitava perfino che venisse gente da fuori, chiedendo di restare a guardarla per un po’, da ospiti», ricorda Alberto Benvenuti. Che sottolinea come «nonostante si fumasse tutti come turchi e talvolta il fumo di tabacco si mescolasse a quello dell’unica stufa a cherosene presente in sede, al punto da farla a malapena intravedere quella televisione», fosse comune a molti «l’usanza di portarsi appresso la propria sedia – e si trattava sempre di una “seggiola”, rigorosamente in legno – per avere la certezza di un posto a sedere».
«Pensa che si presentavano anche un paio di signore, portandosi entrambe sottobraccio i primi modelli di seggioline in legno pieghevoli…» - racconta la mitica “signora Bruna”, al secolo Bruna Pratesi, che con 95 primavere all’attivo parcheggia ancor oggi l’auto – nuova! – con la medesima destrezza con cui quella notte Neil Armstrong fece atterrare il LEM sulla Luna!
E anche lei quella notte, come quasi tutti, la trascorse fissando lo schermo televisivo pur se non in Misericordia ma a casa di amici, con le rispettive famiglie riunite assieme. «In Misericordia ci avevo già passato tutto il pomeriggio, occupandomi del guardaroba, a lavare e stirare per tutti… che volevi, che ce facessi anche la notte per aspetta’ che queli lì sbarcassero sula Luna? Andai a guardammeli a casa de mi’ amici!»
Eh si, perché già allora lei non era la sola presenza femminile nella Misericordia, anzi, tutt’altro: c’erano nel volontariato dell’epoca diverse rappresentanti del gentil sesso, anche se non certo con la stessa diffusione di oggi. Componevano comunque un cosiddetto “Nucleo femminile”, alias “delle Sorelle attive”, molte delle quali specializzate nelle assistenze domiciliari.
Dato il simpatico disincanto appena mostrato, chiediamo alla Bruna che impressioni avesse avuto dell’evento, aspettandoci qualche altra uscita dissacratoria, alla maniera aretina. Invece un’espressione trasognata le si dipinge in viso mentre narra: «…guarda, era qualcosa che faticavi a credere stesse proprio accadendo. Tutto quel chiarore del suolo lunare che rifletteva la luce del sole durante la discesa… da restarci abbagliati. Molte immagini non erano neanche nitide, nelle prime si riusciva a malapena a intuire le sagome, eppure si avvertiva chiaramente tutta la magnificenza di ciò che stava succedendo! Persone come noi camminavano lassù, sulla Luna. Mi sembrò qualcosa di più grande della mia stessa immaginazione».
Ma arriva da Silvano Biondini, oggi Provveditore, la sintesi più emblematica del nostro “ieri e oggi” rispetto a quei momenti: «La televisione allora univa le persone. Non come oggi, che le divide!».
Siccome poi, malgrado tutto, la malinconia non ci appartiene, né vorremmo si ricadesse nella banalità del solito “tutto cambia, niente cambia”, preferiamo chiudere con le parole del cronista storico di quella notte, Tito Stagno, il signore della celebre diretta dagli studi Rai di Roma – insieme a quel Ruggero Orlando corrispondente Rai da “Nuova York”, come lui stesso amava annunciarsi – che in una recente intervista rievocativa ha osservato: «Lo spirito di “Apollo” (questo il nome del programma di missioni spaziali dedicato alla Luna – ndr) dall’America aveva diffuso voglia di creare, di fare… Uno spirito di solidarietà, di pensare all’altro, di preoccuparsi dell’altro. Così nacque l’impresa della Luna, mettendo insieme un esercito – di pace – di scienziati, medici, informatici, militari…»
Uno spirito superiore – un sentimento di fratellanza autentica – in cui vogliamo credere che oggi chi opera nel sociale si riconosca in pieno esattamente come cinquanta anni fa. E viva il desiderio continuo di trasferirlo agli altri.
(Tra le foto dell’articolo, tratte da archivi Rai, Nasa e Misericordia Arezzo, un paio di inquadrature di Papa Paolo VI, prima assorto poi esultante, lui stesso spettatore della diretta televisiva del primo sbarco umano sulla Luna… come quasi 700 milioni di persone nel mondo che quell’evento fece sentire per la prima volta “membri della stessa razza umana”).
Ultima revisione 20/7/2019
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Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui.
(Lc 10,34)