L'episodio di un caso particolare, l'incontro con due persone speciali, il valore di una storia bella ci spingono a condividere considerazioni che vanno anche oltre la riconferma dell'utilità dei defibrillatori.
Questa è una storia vera e particolare, che ci piace raccontarvi. Perché la nostra Misericordia di Arezzo è fatta anche di episodi del genere, trasformandosi talvolta in luogo d’incontro, quasi fosse tappa di un “pellegrinaggio”, pur nel senso moderno del termine.
Accade dunque che una giovane coppia di sposi, giusto in questi giorni, si trova in viaggio da queste parti, col programma di trascorrere una manciata di giorni nella nostra città.
Lui si chiama W. M. La moglie S. V. Sono italiani, originari del centro-Italia, provincia di Roma, ma vivono abitualmente in Portogallo, a Lisbona. Dove a breve faranno ritorno.
Hanno adocchiato la locandina dei nostri ultimi corsi per soccorritori e si sono presentati per chiedere di potersi iscrivere entrambe, con speciale riferimento all’addestramento per il DAE. Il corso base naturalmente era terminato da tempo e quello del livello avanzato troppo avanti ormai nel programma: al momento insomma non ci sarebbe stato modo per soddisfare la loro richiesta.
Ma perché poi – la domanda a quel punto nasce spontanea – voler per forza fare un corso BLS-D mentre si hanno solo pochi giorni da passare qua?
Il fatto è che lui ha la “malattia di Brugada”. Un’affezione cardiaca che solitamente non dà sintomi – il giovane sta bene – ma ha una caratteristica che può rivelarsi micidiale: l’elevata probabilità di un improvviso deficit di conduzione bioelettrica nel cuore, tale da provocarne un’aritmia potenzialmente e rapidamente letale. È probabile che almeno una parte delle cosiddette “morti cardiache improvvise” siano da attribuirsi al fatto che i colpiti fossero affetti da questa sindrome.
«È trasmessa geneticamente, nel suo caso ce l’aveva la madre – ci spiega la moglie, informatissima, che subito prosegue – una vera e propria terapia non c’è, perfino la diagnosi certa è difficile, bisogna essere instradati già dal sospetto, come nel suo caso, per via della familiarità. Altrimenti non ci pensi. Hai presente casi celebri, come un anno fa esatto il calciatore capitano della Fiorentina? Ecco. Molti vengono scoperti purtroppo quando è irrimediabilmente tardi. La diagnosi poi è anche rischiosa: per fare il test specifico si usa l’inoculazione di una sostanza – ce ne sono due tipi praticamente obbligati – con una metodica invasiva che in pratica tende a stimolare un episodio della sindrome. Nel suo caso, c’era appunto l’indicazione per fare questo test ed è andata bene…almeno abbiamo saputo, definitivamente!»
Ad ascoltarli e a cercare d’immaginare cosa possa essere diventata la vita osservata dai loro occhi viene subito in mente la vera trasposizione nella realtà dell’immagine mitologica della più classica “spada di Damocle”.
Loro però hanno preso a spostarsi sempre insieme, semplicemente portandosi appresso in permanenza uno zainetto minimale contenente un defibrillatore identico per tipologia al portatile che usiamo noi nei nostri interventi di emergenza.
E si sono appassionati al mondo dei soccorsi: così, ogniqualvolta possono, cercano di farsi istruzione e addestramento all’impiego dell’apparecchiatura salvavita. Soprattutto la moglie, naturalmente.
«Mi fa stare più tranquilla saperlo usare, consapevole che potrebbe rivelarsi l’unica salvaguardia, come un antidoto – dice lei –. Talvolta di notte mi sveglio di soprassalto nella preoccupazione inconscia di come stia lui: sai, dicono che una percentuale di casi tenda ad accadere nelle ore notturne. Le prime volte lo scuotevo e a lui toccava svegliarsi – ridono entrambe –, allora ho preso a cercare di assicurarmi che respiri… e se non lo sento subito magari cerco d’individuare il leggero sali e scendi delle coperte sul torace… insomma, dopotutto è come se facessi già la procedura ‘GAS’ – Guardo-Ascolto-Sento…, non ti pare?»
Appaiono sereni nella consapevolezza della particolarità della loro reciproca condizione, che cercano di vivere con tutta la normalità che trasmettono. E sono allegri, determinati, sorridenti, autenticamente pieni di speranza. (Perché molti di noi, senza avere problemi neppure lontanamente paragonabili ai loro, non credono altrettanto nella vita?... O non comprendono con altrettanta chiarezza l’importanza cruciale della solidarietà?...)
Eppure, ciò che può accadere a questo giovane sposo e a sua moglie potrebbe succedere in qualsiasi momento a chiunque altro tra noi, nei rispettivi ruoli: per nostra fortuna, abbiamo solo minori probabilità che ci accada di quante lui abbia dovuto appurare di averne.
Si fermano da noi alcune ore di ieri, sabato 9 marzo, e gli viene somministrato in privato dalla nostra formazione un minicorso intensivo pratico sui defibrillatori, comprese prove reali, esercizi, simulazioni ecc, con raffronto nell’uso tra i DAE che abbiamo noi e quello che hanno loro al seguito, inseparabile compagno di viaggio.
Poi le foto private di rito, quelle per la pubblicazione, lo scambio dei recapiti, i ringraziamenti per l’accoglienza anche tecnica della loro richiesta, i saluti – ripartiranno da Arezzo tra qualche giorno – e la promessa spontanea che, al loro ripassare da queste parti (“questa è una città bellissima”, esclamano quasi in coro), si faranno vivi prima per poter pianificare di stare di nuovo un po’ insieme.
Buon viaggio ragazzi. Grazie per l’esempio della vostra testimonianza.
E che Iddio ve ne renda merito.
Ultima revisione 10/3/2019
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Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui.
(Lc 10,34)